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Linux: Utenti e Accesso

Una volta avviato un sistema Linux, prima che sia disponibile l’invito della shell, occorre che l’utente sia riconosciuto dal sistema, attraverso la procedura di accesso (login).

Quello che viene chiesto è l’inserimento del nome dell’utente (così com’è stato registrato) e subito dopo la parola d’ordine (password) abbinata a quell’utente. Eccezionalmente può trattarsi di un utente senza parola d’ordine, così come avviene per i mini sistemi a dischetti fatti per consentire le operazioni di manutenzione eccezionale.
Si distingue solo tra due tipi di utenti: l’amministratore, il cui nome è ‘root’, e gli altri utenti comuni. L’utente ‘root’ non ha alcun limite di azione, gli altri utenti dipendono dai permessi attribuiti ai file (e alle directory) oltre che dai vincoli posti direttamente da alcuni programmi. In teoria, è possibile usare un elaboratore personale solo utilizzando i privilegi dell’utente ‘root’.

In pratica, questo non conviene perché si perde di vista il significato della gestione dei permessi sui file e sulle directory, ma soprattutto si rendono vani i sistemi di sicurezza predefiniti contro gli errori. Se i permessi consentono la cancellazione dei file solo all’utente ‘root’, un utente registrato in modo diverso non può fare alcun danno, cioè non può eliminare file presenti sul sistema.

In conclusione, l’utente ‘root’ deve stare molto attento a quello che fa proprio perché può accedere a qualunque funzione o file del sistema, inoltre il sistema non pone alcuna obiezione al suo comportamento. Invece, un utente comune è vincolato dai permessi sui file e dai programmi che possono impedirgli.

Quindi non è consigliato lavorare continuamente come Root, ma è consigliato creare un utente con molti permessi, ma non tutti.

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